Amore e lutto sulla striscia di Gaza

Storie di vita della comunità lgbtq+ in Palestina

A volte pensiamo che l’amore sia un sentimento unico, speciale, qualcosa che proviamo solo noi. Un qualcosa che ci si può permettere di provare in pochi, un sentimento così speciale che spesso dà origine alla vita. Se ci guardiamo intorno realizziamo che l’amore è un po’ ovunque: nel sorriso di quella mamma che dà da mangiare a suo figlio, nei baci di una coppia innamorata, in quella figlia che aiuta la madre anziana a portare la busta della spesa, in due amici che parlano di musica.

L’amore spesso è l’unica cosa che ci fa andare avanti, l’amore ci spinge a restare in vita, anche nei momenti più brutti e nelle situazioni peggiori.

Aprendo i social mi è capitato di vedere delle foto di madri che baciano i corpi dei figli uccisi in Palestina: li baciano sulle guance, sugli occhi, li tengono stretti a sé. L’amore, certe volte, va oltre la morte.

Ero su Twitter quando ho visto delle foto che venivano ripostate in continuazione, foto di frasi su una cartina rosa, tutte nello stesso punto: la striscia di Gaza. Le frasi sono principalmente riguardanti l’amore, sopra ognuna le persone incitavano a ricordare che anche in Palestina è presente la comunità lgbtq+. In un commento, qualcuno aveva taggato una pagina, ci ho cliccato sopra e migliaia di frasi sono comparse, in varie lingue, in tutte le parti del mondo. Si tratta di un progetto molto bello di queeringthemap per far raccontare anonimamente le esperienze delle persone omosessuali in tutto il mondo, mostrano che la comunità lgbtq+ esiste ovunque, che l’amore può essere ovunque.

Brandelli di vita

Le frasi della striscia di Gaza parlano di amore, di libertà, sono frasi di vita quotidiana, strazianti a tratti. Storie di persone che amano, persone che sperano, persone stremate da un conflitto che va avanti da 76 anni.

“Per favore, sappiate che nonostante quello che dicono i media ci sono dei palestinesi gay. Siamo qui, siamo gay. Palestina libera”

Le frasi sono quasi tutte in inglese, alcune hanno delle parti in arabo e raccontano di una Palestina che spesso viene oscurata, la Palestina omosessuale, la Palestina dell’amore, la Palestina straziata. Queste sono storie di persone vere, persone che come noi camminano e respirano, persone che amano, che desiderano.

La maggior parte sperano di poter rivedere chi amano, ricordano dei momenti passati quando dal cielo cadeva solo la pioggia e non le bombe, molti si pentono di non essere stati più coraggiosi, di non aver detto a quella persona che l’amavano.

“Ho realizzato che quello che provo per te è più di un’adorazione, ho realizzato di volerti vedere ogni giorno, di stare con te e parlare, che volevo che tu mi chiamassi con il soprannome che mi hai dato, mi manchi più di quanto le parole possano descrivere, vorrei aver avuto il coraggio di dirtelo, ma ero spaventat*, non volevo causare alcun problema. Ora siamo entrambi fuori dalla striscia di Gaza, ma molto più lontani. Ti amo e nella mia immaginazione mi ami anche tu”

Durante il mese del pride spesso veniamo assorbiti completamente dai nostri problemi, dalla gioia dei festeggiamenti e ci dimentichiamo dei conflitti, ci dimentichiamo di chi non è libero, di chi non può festeggiare perché troppo impegnato a sopravvivere.

“Vorrei poter guardare il tramonto sul mare di Gaza con te. Per una volta vorrei che questa occupazione non esistesse più e che noi potessimo essere liberi nel nostro paese”

Ci scordiamo che nel mondo esistono persone che lo considerano secondario il Pride, non per scelta, ma perché la libertà di orientamento sessuale o di genere viene dopo la libertà personale. Ci scordiamo che moltissime persone non sono libere per il semplice fatto che sono nate in un lembo di terra rispetto ad un altro.

“Aver fatto coming out non significa nulla per me. Vorrei vedere Haifa, vorrei vedere il villaggio che i miei genitori hanno dovuto lasciare, vorrei vedere mio fratello che è stato ucciso, vorrei essere liber*, ma la mia libertà va oltre il coming out, è essere palestinese per prima cosa. Dio abbia pietà di mio fratello e dei miei fratelli palestinesi”

Ci scordiamo che ci sono persone che devono aggrapparsi a ricordi, a luoghi per sopravvivere, per cercare di non impazzire, per cercare di vivere una sottospecie di esistenza.

“Le uniche cose che mi fanno restare calm* vivendo a Gaza sono il mare e te”

Ci scordiamo che molte persone non possono avere accanto la persona che amano, che non tutti hanno il lusso di poter vivere una relazione, perché spesso l’amore gli viene sottratto.

“Io sono di Rafah e lei è di Deir Al Balah, si è sposata e ha lasciato la striscia di Gaza, ancora oggi ti penso, ancora oggi desidero dormire con te nello stesso letto, voglio che tu pronunci il mio nome di nuovo, voglio essere ancora con te nel mio cuore. Ti amo e nonostante quello che è successo sei sempre nei miei pensieri”.

Ci scordiamo che in un’altra parte del mondo qualcuno ha perso chi amava, senza potergli mai dire quanto lo adorava.

“Ho sempre immaginato me e te, seduti al sole, mano nella mano, liberi finalmente. Abbiamo parlato di tutti i posti dove saremmo andati se avessimo potuto. Ma adesso tu non ci sei. Se avessi saputo che le bombe che cadevano su di noi ti avrebbero portato via da me, avrei detto al mondo intero quanto ti adoravo, più di ogni altra cosa. Mi dispiace di essere stat* un* codard*”

La guerra è  brutale, comandata da nessuna regola, nonostante vi siano. La guerra non si arrende davanti ai bambini o agli anziani, la guerra se ne frega di chi ha davanti,distrugge e uccide, stermina chiunque le passi davanti.

La guerra non guarda in faccia all’amore, non le importa se quella persona è sposata, fidanzata o ha dei figli. La guerra è un mare di sangue.

Le vittime della guerra ormai sono troppe da contare, tutti ci sembrano una massa indistinta di corpi straziati dalla fame e dalla sete, dalle fiamme, per questo le storie come queste sono importanti. Vediamo i palestinesi come una massa informe di vittime soggette ad una violenza indisturbata, scordandoci che ognuno di loro ha una storia, ognuno è una persona e in quanto persone tutti i palestinesi sono differenti. Ogni vittima aveva un nome, una casa, una famiglia; ogni palestinese che ancora vive e respira ha una sua identità, le sue paure e lotta ogni giorno per sopravvivere.

Rileggiamo queste storie, leggiamole spesso, per ricordarci che quelle che muoiono sono persone, come quelle che sopravvivono, con tutto il dolore che il lutto porta per aver perso la propria famiglia, il proprio fidanzato e gli amici.

Matilde
Author: Matilde

Studentessa di lettere con la passione per la scrittura e l'arte. Tra i fondatori del blog. Instagram: @little.goblin_