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Intervista alla professoressa Oliva Menozzi

Il 22 aprile ci siamo recati nello studio della professoressa Menozzi, docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana, per parlare del suo mestiere di docente e archeologo.

Vi invitiamo a visitare la pagina Facebook Archeologia UdA  e il corrispettivo su Instagram @archeo_uda

Come mai lei ha scelto di fare la professoressa universitaria?

È una bella domanda, secondo me a volte non è una scelta: è il mondo della ricerca che ti sceglie e non tu che scegli la ricerca. Nel senso che tu vai avanti per la tua strada, studi, fai il dottorato, hai un percorso di formazione e durante quel percorso non sai di gettare le basi per quello che farai dopo.

Quindi alla fine ti ritrovi in un lavoro che è tuo e non è tuo, perché c’è chi si ritrova bene chi male, ma tu ti sei costruito quel percorso e lo hai scelto anche in funzione degli studenti. Si può fare anche l’archeologo e stare solo sul campo senza interagire-che è bello comunque perché si fa ricerca-però l’interazione con gli studenti è il quid che mi ha trascinato verso l’università.

Come è nata la sua passione per l’archeologia?

È nata tanto tempo fa. Mia madre non mi raccontava le favole, ma i miti, quindi questo già ti forma in qualche modo. In vacanza d’estate si andava in Grecia un mese in roulotte quindi si faceva la mattina il bagno e il pomeriggio si andava a visitare un museo un sito. Cresci con la cultura classica intorno a te quindi diventa un po’ la casa culturale. Nello stesso tempo, mentre mi diplomavo avevo anche la passione per la biologia, quindi nella mia testa volevo  studiare genetica. Adesso sto coniugando un pochino le due passioni applicando una ricerca di taglio più scientifico ad un settore umanistico per cercare di trovare una strada comune. In questo momento sulla Libia e su Capestrano portiamo avanti una ricerca scientifica con La Sapienza e  con l’Università di Harvard.

Cosa pensa si possa fare per dare più visibilità alla facoltà di archeologia? Sappiamo che è una facoltà un po’ trascurata

Un pochino il mondo di oggi guarda la parte umanistica come “inutile”. Secondo me bisogna stare molto sui social, per questo portiamo avanti su Facebook “Archeologia Ud’A” gemellata anche con Instagram, secondo me dovremmo stare molto di più su questa linea che attrae.

Dovremmo attrarre anche dall’estero perché come si fa archeologia in Italia o in Grecia non si può fare in America o in Russia. Poter attrarre degli studenti da fuori sarebbe una bella svolta di internazionalizzazione dei nostri percorsi e allo stesso tempo avremmo per gli studenti una convivenza multietnica di cui c’è bisogno.

Quanto è difficile viaggiare in posti con usi e culture diverse per realizzare gli scavi?

L’organizzazione pratica è complicatissima: in posti come la Libia c’è bisogno di visti e permessi, come anche è complicato l’Egitto e anche spostare gli studenti. Quando andiamo a Cipro e dobbiamo spostare molti studenti nella fase di ricognizione e scavi è complessissimo, ma allo stesso tempo è bellissimo perché ti rendi conto che dai possibilità uniche agli studenti e a noi stessi. Il 26 aprile partiamo con una cinquantina di studenti io, il collega Catenacci e la collega di Marzio e andiamo a Creta. È faticoso perché è faticoso partire- io ad esempio sono tornata da poco dalla Libia e adesso riparto- però è anche bello perché quando sei in situ fai toccare agli studenti con mano ciò che in classe racconti teoricamente, quindi è necessario. Io poi adoro viaggiare. Vedi anche il cambiamento di mentalità negli studenti e questo è bellissimo secondo me.

Quanto sono diversi gli scavi esteri da quelli italiani?

Sono diversi perché si convive molto di più. Secondo me la convivenza nell’’archeologia è necessaria perché l’archeologia non è fatta di uomini soli, di Schliemann o Evans che vanno e scavano, ma è fatta di team. Un team deve crearsi: non è mettere insieme delle persone che da un team vincente, è farle convivere, trovare l’elemento che le faccia ridere, mangiare e bere insieme. La parte goliardica della missione crea il gruppo, poi in automatico quel gruppo ricerca insieme, ci si intercambia, non si può fare tutto da soli. Se cresci persone che sanno fare un po’ tutto, le cresci anche alle interazioni con gli altri e ciò che distingue nella competizione sana con altri gruppi esteri è il saper lavorare insieme. Bisogna annientare i proprio personalismi e diventare tutti uguali dallo studente al docente, fare lo stesso lavoro. Questo anche nello scrivere, quando si scrive l’articolo è bello ricordare tutto il gruppo.

com’è scoprire delle opere così antiche che portano così tanta storia e segni del passato ?

È un’emozione continua: in alcuni siti come Capestrano, Iuvanum, Cirene o Luxor in Egitto tutto quello che trovi è un cambiamento per te stesso. Tutto ciò che trovi apre un nuovo capitolo di studio, un nuovo capitolo di approfondimento. Ad un certo punto stavamo scavando in Libia le tombe monumentali, abbiamo aperto l’area del sepulcrum-quindi la camera funeraria-e sono cominciate ad uscire una statua, una seconda statua, una terza statua, un busto ritratto, due sarcofagi istoriati, un’urna ossario…alla fine eravamo talmente emozionati che quella notte abbiamo dormito lì per evitare che i ladri venissero a rubare i materiali e insieme con il ghefir,ovvero il guardiamo, abbiamo fatto nottata e ci siamo fatti il tè con le statue. È emozionante. Nella tomba 362 a Luxor abbiamo trovato una statuetta di legno che doveva accompagnare il defunto…ogni scoperta la vivi come un bambino che scopre qualcosa di nuovo e questo secondo me deve permanere diventando più grandi. Io adesso ho 57 anni quindi mi sento grande e comunque quando scavo lo faccio con lo spirito di un bambino.

Quali sono le sue altre passioni?

La musica, la danza che mi hanno accompagnato in tutta la vita. All’età che ho non posso fare più la ballerina classica anche se l’ho fatto per vent’anni. È una forma mentis che ti insegna la sistematizzazione di ciò che fai: sei stanco, ti fanno male le ossa, ma tu continui a farlo. Poi la lettura. Quando sono sola a casa chiudo le porte, le finestre,  metto la musica classica e leggo e in quel caso viaggio con la testa.

Un aneddoto divertente riguardante gli scavi 

Durante gli scavi ce ne sono tanti di aneddoti: persone e colleghi molto seri è capitato che all’improvviso durante lo scavo si sono messi a fare i versi degli animali e allora dici “hai bevuto?”, “ti senti male?” , invece no, magari viene fuori il bambino interiore. L’altro giorno eravamo vari colleghi a fare Pasquetta e ricordavamo che di punto in bianco un altro nostro collega una mattina ci ha svegliato con il verso del gabbiano. Io gli ho chiesto se stesse bene e mi ha risposto col verso di un altro animale. Ancora adesso ne ridiamo perché puoi avere anche 70 anni ma saperti divertire con una cavolata.

Si può guardare il docufilm della missione a Cipro a questo link, la missione in Egitto Qui e l intervista per la missione in Libia Qui

Ringraziamo la professoressa Menozzi per l’intervista e per tutto il materiale che ci ha fornito. Vi invitiamo inoltre a seguire le pagine di archeologia sui social e a valorizzare questa bellissima facoltà

Matilde
Author: Matilde

Studentessa di lettere con la passione per la scrittura e l'arte. Tra i fondatori del blog. Instagram: @little.goblin_