Nosferatu: un ritorno al terrore del cinema gotico

Rivisitazione di un classico: la visione contemporanea di Eggers sul mito del vampiro

Parzialmente illuminato dalla luna di Wisborg, il miglior horror di questa generazione si apre in maniera estremamente espressionista nello stesso modo in cui tale corrente artistica caratterizzò il Nosferatu di Murnau più di un secolo fa, attraverso un utilizzo magistrale sin dal primo minuto delle ombre del vampiro agitate dal candore delle tende in procinto di violare una Ellen Hutter trasposta magistralmente sullo schermo da una sorprendente Lily-Rose Depp (finalmente in un ruolo degno del suo talento, diegeticamente marcato sulla sua pelle per l’eternità) si tratta difatti di una donna dotata di un’innata connessione ancestrale con un mostro marcio, perverso e corrotto nell’umanità che Robert Eggers incarna perfettamente nel concetto di “strigoi” Rumeno.

La seduzione: il fascino inquietante di Nosferatu su Ellen

Eggers, nel suo approccio di lettura filologica del mito, preferisce ricostruire il mito senza rimaneggiare la mentalità di chi lo teme, lo venera, lo oppone, crede o non crede ad esso, come anche accadeva in The Northman, dove la trasposizione della cultura vichinga avveniva senza l’imposizione di un giudizio di stampo contemporaneo. E quindi, la spinta della lettura psicologica sembra arrestarsi in vista del finale, che non si preoccupa di sciogliere l’ambiguità relativa alla scelta della sua protagonista, se non in quell’inquadratura che sembra ribadire l’amore incondizionato tra Ellen e Nosferatu con una sfumatura anche romantica pur nel suo essere macabro, e che onestamente è uno schiaffo in faccia rispetto alla percezione odierna di cosa è accettabile nella raffigurazione del romanticismo. È una scelta che lascia perplessi (il pericolo è sempre quello della glorificazione dell’amore tossico), ma che alla fine credo possa essere premiata per la sua audacia. 

La somiglianza con Murnau e le caratteristiche

Il rigore di Eggers è, come già detto da tutti, in ossequio alla tradizione dell’horror -soprattutto al primo Nosferatu di Murnau- l’introduzione degli elementi del nuovo Nosferatu che rimandano a uno stile di un’altra epoca: la tendenza al monocromatismo per imitare il bianco e nero; l’uso dell’ombra come inquietante emanazione della figura del vampiro; la recitazione enfatica di Hoult e Depp nelle sequenze di possessione demoniaca. In più, non credo esista una categoria stilistica in cui collocarli ma è apprezzata ogni singola rotazione della camera a 90° (precisi, come al solito). In ogni caso, è interessante come, nonostante l’evidente influsso del cinema horror classico, Eggers sappia imprimere al film un aspetto e un’atmosfera riconoscibilmente sue caratteristiche.

Una conclusione ambivalente

Tirando le somme, con una maggiore lettura post-psicanalitica e con una moderna consapevolezza sul concetto di “ombra”, il regista statunitense riesce a condensarvi tutto il suo cinema precedente senza mai fuggire concettualmente all’ombra dell’opera prima, con un’inquadratura finale preceduta dal tipico urlo Eggersiano, simbolo dell’annichilimento dell’esistenza stessa, rappresentando la poetica e sofisticata catarsi del  “Principe dei ratti” nella sua nuda essenza che non può non farci interrogare sul se il male nasca dentro di noi, o se venga dall’aldilà.

In fondo, perché Ellen non dovrebbe amare ciò che la brama più di ogni altra cosa, per quanto psicologicamente sbagliato, per quanto dannoso, per quanto mortifero? Questo non le dà ragione più di chi si affida alla scienza e al raziocinio -per poi perdere il supporto di entrambi quando non sono sufficienti?

Ionela Harabagiu
Author: Ionela Harabagiu

Sono una cinefila e appassionata di videogiochi, con una capacità tutta mia di vedere oltre lo schermo