Oltre i pregiudizi : Hellblade e la malattia mentale

Un sinistro e affascinante viaggio nella psiche umana.

LA MENTE E L’OMBRA

La mente è un labirinto, un dedalo di idee e ricordi, di pensieri che fluiscono e rifluiscono come le acque tempestose di un oceano oscuro e sconfinato.

Un luogo che appartiene a tutti, ma nel quale nessuno vuole perdersi, poiché farlo significherebbe entrare in contatto con sé stessi: con le nostre paure più profonde, con i pensieri più intimi e segreti, con gli aspetti più reconditi della nostra persona, seppelliti giù nelle profondità dell’inconscio.

Nella nostra mente si annida un mondo sepolto che ribolle di pulsioni e tensioni nascoste, pronte ad esondare dai confini del nostro inconscio nel momento in cui viene meno la luce guida della nostra razionalità.

Questo lato di noi stessi, quest’ombra che tendiamo ad evitare, a nascondere dietro la maschera della moralità e delle corrette norme sociali, condiziona le nostre esistenze in modi subdoli, silenziosi, quasi impercettibili.

Nella psicologia Junghiana, l’accettazione di questo mondo celato, degli aspetti più “oscuri”, irrazionali e sgradevoli del nostro essere, è un processo fondamentale nella costruzione della nostra individualità, nel garantire una stabilità psicologica. E questa “riconciliazione” con la propria ombra passa anche attraverso la comunicazione con l’altro, nel dare un nome ai propri demoni ed “esorcizzarli” parlandone con amici, famigliari, persone di fiducia.

Ma cosa accade quando non c’è nessuno dall’altra parte disposto ad ascoltare, quando la solitudine e il silenzio sobillano quel mondo oscuro nel penetrarti dentro senza alcun controllo?

Questo è quello che è accaduto a Senua, la protagonista di “Hellblade: Senua’s sacrifice”, la cui vita si è trasformata in un incubo costruito sulla struttura marcescente di paure e traumi irrisolti, di “demoni” mai affrontati e rinchiusi nel “vaso di pandora” della sua mente, ora scoperchiato in tutta la sua terrificante potenza.

TRA PAURA E IGNORANZA: LA MALATTIA MENTALE NELL’ARTE

Nella creazione di “Hellblade: Senua’s sacrifice”, lo studio di sviluppo “Ninja Theory” si è prefissato l’obiettivo tanto arduo quanto affascinante di narrare una storia cruda, brutale. In grado di suscitare emozioni e sensazioni profonde nel giocatore. Una narrazione che porta sulle sue spalle il difficile e gravoso compito di raccontare da vicino cosa significhi convivere con una malattia mentale, di descrivere, senza censure e senza glorificazioni, la sofferenza di coloro che affrontano l’oscurità ogni giorno, nel modo più accurato e rispettoso possibile.

Quello dei disturbi della psiche, è un tema particolarmente arduo da trattare e da rappresentare senza scadere in semplificazioni e stereotipizzazioni irrispettose e di cattivo gusto, come spesso accaduto nel mondo del cinema, della letteratura e dell’arte in senso più ampio.

Numerosissime sono le rappresentazioni inesatte, caricaturali, grottesche quasi, di persone affette da disturbi psichici: rappresentazioni volte a turbare lo spettatore, a scandalizzarlo, con il preciso obiettivo (intenzionale o meno) di demonizzare il malato, spogliarlo di ogni umanità e trasformarlo in un “mostro”, un bersaglio da temere e odiare senza porsi troppi scrupoli morali.

Parte delle motivazioni dietro l’esistenza di queste irrispettose e superficiali raffigurazioni della “malattia mentale” derivano da una profonda ignoranza della maggior parte della società verso questo tema. È complesso spiegare e riprodurre un qualcosa che molti non hanno mai sperimentato sulla loro pelle, ed è ancora più difficile, di conseguenza, suscitare l’empatia di un pubblico abituato a stigmatizzare e ad approcciarsi con paura e diffidenza al concetto di “malattia mentale”.

Ed è proprio per questo che l’opera di Ninja Theory assume una duplice importanza, sociale e ludica: Da un lato, “l’action adventure” dello studio di sviluppo inglese ha il grandissimo merito di decostruire in modo eccellente questa “stigmatizzazione” diffusa, presentandoci un ritratto autentico, profondamente umano ed empatico della “vera” malattia mentale; dall’altro il capolavoro di Ninja Theory riesce ad elevare il “medium” dei videogiochi, dimostrando come essi possano trattare tematiche estremamente complesse e profonde, dimostrando, in tal senso, la maturità e l’importanza raggiunti dal linguaggio videoludico, come strumento dalla grande valenza artistica e sociale.

TRA STORIA E MITO: LA NARRAZIONE DI HELLBLADE

Le battute iniziali di Hellblade ci immergono da subito nell’atmosfera angosciosa e lugubre che contraddistingue l’intera opera: un mare di nebbia che cela l’ignoto, la tranquillità delle opache acque rotta dal passaggio di una piccola imbarcazione di legno guidata da una figura femminile. E lei, è Senua, la guerriera celtica, l’anima persa che percorre, remata dopo remata, queste acque oscure. E poi compaiono anche loro, le voci che divorano la mente, i sussurri scalpitanti che logorano la sua razionalità. Dubbi, paure, incertezze, aghi conficcati nella sua anima, con cui convive da sempre e che non accennano ad andarsene. Il lungo e oscuro viaggio di Senua nel nebbioso regno di Hela inizia così, attraversando il fiume dei morti immerso nelle tenebre, guidata da una singola, ferrea volontà: quella di liberare l’anima del suo amato, Dillion, brutalmente trucidato dai vichinghi che lo hanno sacrificato alle proprie divinità sanguinarie.

L’opera mescola sapientemente storia e mito (sia Nordico che Celtico) riprodotti fedelmente dallo studio di sviluppo grazie alla supervisione di storici e mitologi, dipingendo così una ambientazione tanto illogica e surreale, quanto basata su di un contesto storico realistico e ben documentato. In tal senso, l’opera si destreggia tra questi due mondi, ambientando le vicende in due piani della realtà: uno prettamente storico, che fa riferimento alla violenta invasione delle isole Orcadi da parte dei vichinghi alla fine dell’VIII secolo, che da inizio alle vicende del gioco. E poi c’è il secondo piano, quello modellato dalla mente allucinata di Senua, costruito sugli oscuri e affascinanti mondi della mitologia Norrena e Celtica, che prendono vita nel delirio della guerriera celtica.

Questa intrigante commistione di mito e realtà conferisce all’opera un fascino oscuro e penetrante, dove la linea di demarcazione tra realtà e fantasia scompare nei recessi di una mente in frantumi.

LA PSICOSI DI SENUA: DALLA REALTÀ AL PIXEL  

Come accennato in precedenza, Senua soffre di un disturbo psicotico. Ma cos’è la psicosi, in psichiatria? La psicosi è un’alterazione della realtà e delle percezioni che si provano, e si manifesta con gravi disturbi della memoria, del ragionamento, dell’affettività e del comportamento. I sintomi più comuni sono le allucinazioni e il delirio, accompagnati da pensieri confusi, nonché dalla mancata consapevolezza di essere malati.

Avvalendosi del consulto di esperti del campo della psichiatria, il team britannico ha implementato la psicosi di Senua nell’opera in modo realistico e tangibile, utilizzando con saggezza le infinite potenzialità del linguaggio videoludico.

Ed è in questo modo che la psicosi di Senua diventa ben più di un semplice pretesto di trama, trasformandosi nel fondamento unitario dell’intera esperienza, il collante di un’opera coraggiosa e destabilizzante che ci permette di immergerci totalmente nel reame da incubo partorito dalla sua mente.

La rappresentazione della malattia mentale della protagonista è cruda e realistica, basata sui resoconti di chi soffre della patologia e combatte con essa ogni giorno: la presenza insistente e graffiante delle voci nella sua mente, quelle che Senua chiama “le furie”, una compagnia costante e soffocante (rese in tutta la loro disturbante presenza dall’”audio binaurale” implementato nel gioco) una cacofonia martellante di voci che giudicano, insultano, incoraggiano…talvolta offrendo utili consigli per risolvere un enigma, altre volte spingendo la protagonista in vicoli ciechi e trappole, sempre più verso la follia.

Tutte le meccaniche di gameplay e le interazioni ambientali sono filtrate dalla lente distorta della psicosi di Senua, del modo peculiare in cui osserva il mondo: durante l’avventura non sarà raro scrutare volti immaginari nelle ombre, simboli e glifi ossessivamente ripetuti nel più mondano tra gli oggetti, nella più ordinaria struttura. Si tratta di una meccanica essenziale nella risoluzione dei numerosi enigmi che simula con fedeltà uno dei sintomi caratterizzanti del disturbo psicotico: l’Apofenia, ovvero “la percezione spontanea di connessioni significative tra fenomeni che non hanno alcuna relazione tra loro, che porta alla maniacale ricerca di schemi ricorrenti in qualsiasi cosa, anche laddove non dovessero esistere.

La psicosi di Senua contorce e trasforma il mondo che la circonda, corrompendolo fino al midollo con un’oscurità impenetrabile, abitata da vivide allucinazioni e frammenti del passato stesso della ragazza Pitta, della superstizione in cui è cresciuta e dalla quale non può fuggire.

IL VIAGGIO DI SENUA: TRA CONOSCENZA DI SÉ E DRAMMA UMANO

Quella in cui si imbarca Senua è una lunga e disturbante odissea verso l’ignoto che si nasconde in ciascuno di noi, in quel reame di luce e oscurità dove la logica e il mondo non sempre coincidono e la realtà si smonta e si ricompone, seguendo la logica dei sogni fino ai suoi estremi:

Fitte foreste dove la luce non riesce a penetrare, enormi bastioni che si stagliano lungo l’orizzonte più remoto, in luoghi impossibili da abitare;

un colossale albero avvolto dal sereno tepore del sole pomeridiano, ricolmo di vita e l’istante dopo avvolto dalle fiamme e corrotto dall’oscurità che avvelena ogni cosa.

Il mondo di gioco riflette la psiche di Senua, in costante bilico tra follia e lucidità, tra vita e morte. Non importa se il calvario della guerriera Celtica sia un’illusione o meno, se sia reale o l’allucinato prodotto della sua mente infranta. Quel che sperimenta Senua, quel dolore, quell’oscurità sono tangibili e reali per lei, e questa è l’unica cosa che conta.

Il viaggio di Senua, quindi, assume i connotati di un doloroso cammino spirituale, introspettivo; Ogni passo che la guerriera Pitta compie nell’oscurità la conduce sempre più a fondo nell’abisso del suo inconscio, faccia a faccia con i fantasmi del suo passato, all’origine dell’oscurità che la tormenta, la radice della sua psicosi.

In tal senso potremmo interpretare il sofferente viaggio di Senua nel regno dei morti come una lunga e incalzante “sessione di psicoterapia”, dove noi siamo gli spettatori, mossi da un fervente spirito voyeuristico, volenterosi di accompagnare Senua fino in fondo al tunnel, per concederle di rivedere la luce.

Questo perché la storia di Hellblade è narrata con grande rispetto e maturità, trovando un equilibrio perfetto tra dramma e dolcezza, tra speranza e dolore. Guidiamo Senua in ogni suo balzo nell’oscurità, soffriamo insieme a lei, proviamo la sua paura, il suo dolore, la sua gioia. La barriera che separa il videogiocatore dal gioco viene rotta, frantumata dal potente martello dell’empatia. Amore, morte, speranza, perdita e accettazione di sé stessi; Alla base di Hellblade c’è l’esperienza umana in tutte le sue forme, tanto strazianti quanto familiari.

COMPRENDERE IL DOLORE: L’EMPATIA DI HELLBLADE

Hellblade trascende il medium di riferimento, si trasforma in qualcosa di nuovo, in un’esperienza sensoriale ed emotiva senza precedenti in grado di rompere lo stigma che circonda il tema delle malattie mentali, mostrandoci l’umanità di Senua in tutte le sue sfumature, rendendoci partecipi del suo dolore e del suo immenso coraggio nell’affrontare la sua malattia.

Hellblade ci ricorda che le battaglie più ardue non sono combattute con la spada, ma con la nostra mente e che non è la nostra malattia a definirci, ma le nostre scelte e il nostro coraggio, la tenace determinazione nell’andare avanti, non importa quanto la luce sembri distante.

Samuele Berardi
Author: Samuele Berardi