Le origini di questo concetto sono spesso state messe sotto silenzio o demonizzate nella cultura occidentale, etichettando la “Feminine Rage” come “isteria” o “esagerazione”. Tuttavia, negli ultimi decenni, con l’emergere di movimenti come il femminismo di seconda ondata (anni ’60 e ’70) e il più recente femminismo intersezionale, la rabbia delle donne è stata rivalutata e riconosciuta come una forza legittima, potente e necessaria.
Carolee Schneemann, potere del corpo

Con opere come Interior Scroll (1975), si rappresenta un atto di riappropriazione del corpo femminile e della sua voce. Carolee Schneemann, con questa performance, rompe l’idea che il corpo della donna debba essere presentato in modo estetico o desiderabile, come spesso accade nelle opere d’arte tradizionali, in particolare nell’arte maschile. La performance è una reazione al silenziamento e alla marginalizzazione delle donne nell’arte e nella cultura, mettendo in discussione le aspettative tradizionali sul corpo femminile e aprendo la strada a una nuova forma di espressione sessuale e politica.
Il “scroll” (rotolo) non è solo un oggetto fisico, ma un veicolo di pensieri e di liberazione. L’artista utilizzava il suo corpo per esprimere un linguaggio che sfidava le convenzioni della sessualità femminile e l’idea di controllo sul corpo stesso, rompendo le tradizioni artistiche che relegavano la figura femminile a un ruolo passivo.
Pipilotti Rist come campo di battaglia

Artista visiva svizzera conosciuta per le sue installazioni e videoarte, sebbene non abbia trattato il tema in modo diretto come altri artisti, utilizza l’immagine corporea in modo surreale e provocatorio, giocando con il concetto di violazione e ribellione. L’uso di immagini violente o liberatorie nel suo lavoro esplora anche la rabbia nascosta dietro la bellezza, la sensualità e la vulnerabilità.
Judy Chicago, interattività e ricezione

Con la sua celebre installazione The Dinner Party (1974-79), Judy Chicago celebra le donne che hanno avuto un impatto storico, hanno rappresentato simbolicamente la rabbia contro l’esclusione storica delle donne dalla narrazione ufficiale. Il piatto, come oggetto centrale di ogni posto, è simbolico e richiama il tema del corpo femminile, con la sua forma vagamente vaginale che fa riferimento alla nascita e alla creazione. Il design dei piatti varia da posto a posto: alcuni sono ornati con motivi floreali, altri con forme geometriche, ma tutti sono legati da un tema comune che esprime la sacralità e l’importanza delle donne. Il colore e il materiale sono utilizzati per evocare una connessione viscerale e simbolica con la femminilità.
Linda Nochlin, la domanda centrale

Con il suo famoso saggio “Why Have There Been No Great Women Artists?” (1971), ha innescato una riflessione sul perché le donne siano state sistematicamente escluse dalle grandi narrazioni artistiche, aprendo la strada a un’arte che affronta apertamente la discriminazione e la frustrazione legate al sesso. Nel suo saggio, Nochlin inizia con la domanda provocatoria: “Perché non ci sono state grandi artiste?”. La sua risposta non si limita a dare una risposta univoca, ma piuttosto esamina le strutture storiche, sociali e culturali che hanno impedito alle donne di emergere come artiste riconosciute. Nochlin suggerisce che la domanda stessa è mal posta, poiché il concetto di “grande artista” è radicato in un sistema di valore che ha escluso le donne da tutte le posizioni di potere e da accesso alle risorse artistiche.
La ribellione femminile attraverso l’arte urbana: un grido di cambiamento e visibilità
Anche l’arte di strada ha visto una crescente espressione della rabbia. Il movimento di graffiti femminili e street art ha permesso a molte donne di esprimere la loro rabbia contro il sessismo, l’oppressione e la violenza di genere.

Il lavoro di Barbara Kruger, ad esempio, utilizza immagini e testi potenti per esplorare temi come il controllo sociale, la violenza e la lotta per l’autonomia. Esplora in modo incisivo una serie di tematiche legate alla politica del corpo e del genere. Le sue opere spesso interrogano le strutture di potere che dominano la società e la cultura, esplorando come queste influenzano e determinano la percezione di sé e la posizione sociale degli individui, in particolare delle donne. Le immagini e i testi delle opere sfidano i modi in cui la società oggettifica e limita le possibilità delle donne.
Cindy Sherman: l’estetica e la costruzione visiva

Fotografe come Cindy Sherman e Nan Goldin hanno utilizzato il ritratto per sfidare le norme di genere e la sessualità. Sherman, con la sua serie Untitled Film Stills (1977-1980), mette in discussione il concetto stesso di autenticità in relazione alla rappresentazione visiva delle donne, suggerendo che ciò che vediamo è sempre una costruzione culturale e mediatica. Un altro aspetto centrale è l’analisi della rappresentazione femminile nel cinema: si ispira ai film noir, ai melodrammi e alle commedie, generi che erano noti per la loro rappresentazione stereotipata della donna, riducendola a ruoli passivi o esotici. Le fotografie di Sherman evocano questi film attraverso l’ambientazione, la luce e l’atteggiamento delle protagoniste.
Dall’altra parte, Goldin ha esplorato la vita delle donne ai margini della società, affrontando tematiche di abuso, sesso e fragilità con uno sguardo crudo e diretto. La sua tecnica non mira alla perfezione visiva, ma piuttosto alla verità emotiva. Molte delle sue immagini sono scattate in situazioni spontanee e non preparate, senza pose, riflettendo un’idea di verità che non si trova nell’artificiosità ma nel quotidiano e nel non visto.
Sessualità e identità

Gran parte del lavoro di Goldin esplora la sessualità in tutte le sue forme, comprese quelle più marginali e non convenzionali. La sua celebre serie ‘The Ballad of Sexual Dependency” (1986) mostra scene di coppie, incontri, e momenti di intimità sessuale, affrontando con coraggio e vulnerabilità temi legati al desiderio, alla passione, alla dipendenza emotiva e alla violenza nelle relazioni.
In questo scenario, è fondamentale che la società riconosca il valore di questa rabbia, non come un’improvvisa esplosione senza causa, ma come una risposta legittima e necessaria a un sistema che ha troppo a lungo ignorato e oppresso le voci femminili.