Cormac McCarty ci guida in un lungo e brutale pellegrinaggio nel selvaggio west…
Cronache americane
“1850, fra le desolate e selvagge terre di frontiera arse dal sole si muove una efferata banda di cacciatori di scalpi guidata dal sinistro Giudice e dal sadico Glanton, lasciandosi alle spalle una lunga scia di sangue e devastazione, sullo sfondo di una natura violenta e incontaminata, insidiosa e crudele quanto le anime nere che l’attraversano…”
Questa è la premessa di “Meridiano di sangue”, romanzo pubblicato nel 1985 dall’autore statunitense Cormac McCarty. Oggi annoverato tra i più grandi capolavori della letteratura americana, il racconto subì una tiepida accoglienza durante la sua pubblicazione a causa della complessità (non solo stilistica ma anche tematica) e della viscerale crudezza degli eventi narrati. Avanguardistica, coraggiosa e riflessiva, l’opera di McCarty è entrata di diritto nell’olimpo della letteratura moderna, rivoluzionando il genere western per sempre.
Un western atipico
Ma quindi cos’è Meridiano di sangue? Il capolavoro di Cormac McCarthy è simultaneamente un romanzo epico-storico, un manifesto dell’identità culturale americana (tanto da essere stato definito “l’ultimo grande romanzo americano”), ma anche uno spaccato, tanto crudo quanto realistico, della vita di frontiera, dove violenza e pericolo erano all’ordine del giorno.
Ma il romanzo di McCarthy è anche e soprattutto un saggio sull’uomo, una incisiva e profonda ricerca sugli aspetti più oscuri e reconditi della nostra natura.
Orizzonte di fuoco
I vasti territori di confine fra Messico e Stati Uniti, che fanno da cornice alle vicende della “Banda di Glanton”(gruppo, peraltro, realmente esistito), rappresentano il contesto perfetto per studiare l’uomo nel suo stato più atavico e primordiale. Lontano dalle patinate convenzioni morali dettate dalla civiltà, l’uomo si dimostra per quello che è realmente: Un predatore tra predatori in perpetua lotta con gli altri e con sé stesso, secondo una visione hobbesiana dell’esistenza, quella dell’”uomo, lupo per altri uomini”.
Quello descritto da McCarthy è un mondo senza speranza, intriso di miseria e disperazione. Un luogo dove il sole si erge alto e sfolgorante nel cielo, ma non riesce a squarciare la densa oscurità presente nel cuore dell’uomo.
La frontiera diventa così una terra di passaggio, un “non luogo” sconfinato e allucinato, dove ogni strada è lastricata dal sangue di innocenti e ogni cittadina non è altro che un decrepito monumento ai peccati dell’uomo. La lunga odissea della banda nel “cuore di tenebra” del West assume i connotati di una lenta e inesorabile discesa all’inferno, una catabasi scandita da depravazioni e atrocità di ogni genere.
C’era una volta il west
La prosa di McCarty, scarna e asciutta ma allo stesso tempo sontuosamente profonda e viscerale, ci restituisce un affresco cupo e nichilistico dell’esistenza, la cronaca di una terra senza Dio, dove l’unica forza ultraterrena all’opera è la morte che incombe in ogni dove.
Nello spietato Far West partorito dalla mente dell’autore statunitense non esiste gloria o eroismo, non c’è riscatto né redenzione. In effetti, il romanzo si discosta in modo esemplare dai canoni del genere western (può essere considerato quasi un “anti western”), opponendosi all’ideale positivista del mito della civilizzazione, demolendo l’idea di un destino manifesto, di un bene assoluto e onnipresente che fin dal primo Ottocento aveva fatto parte dell’identità americana. Lungo l’infinito orizzonte di sangue che incornicia il sud ovest americano, muore il mito della frontiera, con tutti i suoi sogni e le sue contraddizioni: L’uomo è costretto ad arrendersi, a fare i conti con la sua insignificanza dinnanzi ad una terra che non tollera ordine o legge, dove la vita di ogni uomo vale quanto un proiettile di pistola e l’unica pietà impartita è quella di una solitaria lapide su di una deserta collina. Il West narrato da McCarty non può essere domato dall’aratro e dal mulino, ma solo dal piombo e dal fucile, da uomini disposti a sporcarsi le mani di sangue, abbandonandosi al male che alberga nelle loro anime.
McCarthy recupera questi temi fondanti del western classico e li decostruisce secondo un’ottica nichilistica, narrandoci l’epopea di un West morente, privato di ogni epos.
L’apocalisse secondo McCarty
Dinnanzi ad un Dio silenzioso, che sembra aver abbandonato l’uomo a sé stesso, la violenza diventa legge, l’uomo diventa giudice e giuria.
Anche in questo caso, l’autore rielabora uno dei temi cardini del genere western: il rapporto tra il bene e il male, il senso della giustizia. McCarthy rifiuta questa dicotomia, il bene è un mito, un fugace ed illusorio raggio di luce in un mondo di tenebra….ma la violenza, il male: queste ultime sono forze onnipresenti, native nel cuore dell’uomo fin dal principio della storia e continueranno a farne parte per l’eternità.
In Meridiano di sangue, McCarthy ci invita a riflettere sulla natura umana, conducendoci lungo strade polverose, sudici saloon e vasti deserti, dove si articola un viaggio magistralmente narrato, oscuro e disturbante, negli abissi più profondi e torbidi della nostra anima. Un lungo calvario ai confini del mondo civilizzato, dove il male cresce rigoglioso nel fertile cuore dell’uomo e si diffonde come una malattia virulenta.